Grazie ai documenti dell’archivio comunale, possiamo ripercorre la storia del nostro Municipio, dai primi anni dell’Ottocento fino ai giorni nostri.

Se potessimo fare un salto nel tempo di due secoli, quella attuale non sarebbe la sede dell’Amministrazione comunale, allora ospitata dal palazzo situato ora al civico numero 63 della stessa via. A quel tempo, il centro del paese aveva dimensioni molto ridotte, si sviluppava lungo la via principale ed era attorniato dagli orti e dalla campagna, con le sue frazioni e i suoi grandi proprietari terrieri.

La Comune e il rogo dei documenti del 1809

Il Municipio veniva chiamato Casa comunale o la Comune, e gli abitanti eravamo i comunisti, denominazione abitualmente impiegata che nulla aveva a che fare con partiti e ideologie. Ebbene, la “Comune” aveva preso in affitto e poi comprato dal Collegio seminario di Bologna l’edificio che in epoca precedente era stato ospizio per viandanti, ed era successivamente andato in disuso. La vendita avvenne il 9 ottobre 1813, innanzi al “pubblico notaio Michele Felicori e pel collegio stipulò monsignor Benedetto Conventi vicario generale al Vescovado di Bologna e per la comune Pietro del fu Giuseppe Pelagatti Sindaco […] per il prezzo di scudi romani 608 e baiocchi 25”.

Anche allora il nostro Comune aveva alle spalle una storia pluricentenaria e, si legge dai materiali dell’archivio, anche ben documentata, ma nell’epoca napoleonica, quando Castel San Giorgio faceva parte del Dipartimento del Reno nel Regno d’Italia, durante una scorribanda di banditi guidata da Prospero Baschieri vennero bruciati tutti i documenti, il 5 ottobre 1809. Questi roghi avvennero anche in altri Comuni a noi vicini, perché i tanti balzelli imposti avevano creato nelle popolazioni malumori, ma anche perché, bruciando i registri della popolazione, i banditi volevano evitare di essere chiamati alla leva militare obbligatoria stabilita da quel governo. I briganti, che trovavano coperture e ospitalità (ma anche tradimenti) presso le famiglie contadine, nel nostro Comune avevano preso di mira gli amministratori locali e alcuni dipendenti, tutti colpevoli di esercitare il potere in nome del governo napoleonico, tanto da costringerli ad allontanarsi per qualche tempo dal paese.

Dal 1817, la Residenza comunale fu sede della prima scuola pubblica sangiorgese, già presente e attiva da qualche anno a Castel San Giorgio in locali messi a disposizione dal maestro. Da allora, il Comune ritenne più conveniente far svolgere le lezioni in un locale all’interno della propria residenza, motivando la decisione con la necessità di rendere più appetibile il lavoro e attirare al concorso, che si stava bandendo, insegnanti più abili. Gli amministratori, però, erano mossi anche dalla necessità, sorta a seguito di alcuni accadimenti precedenti, di potere vigilare sul lavoro e sulla presenza in aula del maestro. Tuttavia, negli anni successivi, si notò come la vicinanza tra uffici comunali e aule scolastiche mal si conciliava con le esigenze di entrambi, pertanto, nel 1858, il Consiglio comunale decise di ristrutturare per la scuola i locali posti al piano terra dello stesso edificio. Con l’unità d’Italia, raggiunta pochi anni dopo, si ebbe un ampliamento dell’istruzione pubblica e la conseguente costruzione di un nuovo edificio dedicato.

Nel 1831, presso la residenza comunale, trovò sede il quartiere della Guardia nazionale, istituita sotto il governo pontificio proprio in quell’anno, una milizia formata da popolani che in caso di necessità intervenivano supportando l’esercito nella difesa e nei bisogni della comunità. Nello stesso anno, iniziarono alcuni lavori di ampliamento, con la costruzione di una grande salone, che in seguito sarebbe diventato il teatro comunale. Questo spazio aveva un doppio accesso: una prima entrata per il pubblico dallo stradone del mercato, successivamente denominato – per conseguenza – via del Teatro (l’attuale via Andrea Costa), e una seconda costituita da un passaggio interno, che dal Comune immetteva direttamente nell’ingresso della grande sala. Una recente scoperta di documenti ci ha dato la sicurezza sulla precedente ubicazione del municipio, situato nello stabile posto all’angolo Sud-Ovest tra via Libertà e via Andrea Costa.

L’acquisto di palazzo Pesci-Benassi

Quella sede rimase tale sino al 1869, quando, con lo slancio che il nostro paese ebbe dopo l’Unità d’Italia, venne acquistato Palazzo Pesci-Benassi (la parte più monumentale dell’isolato, l’attuale nostro Municipio), dove già erano stati affittati dei locali per uffici pubblici e dove il Comune trasferì completamente la propria sede. L’acquisto avvenne con rogito del notaio Arnovaldi, il 5 novembre 1868.

A fianco del nuovo palazzo esistevano già possedimenti comunali, ma da quella data l’intero complesso edilizio divenne di proprietà pubblica ospitando sia le sedi di servizi comunali e di altri enti pubblici, sia abitazioni, negozi di tutti i generi, attività artigianali, stalle, farmacia, caffè e una locanda per i forestieri. Il vasto caseggiato costituiva quindi un centro di servizi e attività molto articolato, il nucleo più importante e utile per il paese, o meglio per il Castello, così come si definiva allora il centro dell’abitato. 

Dopo l’acquisto del palazzo, il Comune nel 1869 cercò di vendere la sede precedente, in quanto sembrava vi fosse l’interesse della Deputazione provinciale di Bologna ad acquistarlo, per sistemarvi la caserma dei Carabinieri. L’affare, però, non andò in porto, e la caserma fu ospitata in un’ala del nuovo palazzo comunale. Il vecchio municipio andò all’asta più volte senza esito, finendo per essere acquistato a trattativa privata solo nel 1872.

Gli utilizzi diversificati della sede

Soffermiamoci ora su alcuni servizi che qui avevano sede e su quegli uffici e locali poco o per nulla conosciuti dalla maggioranza dei sangiorgesi, ma che hanno fatto e fanno la storia di queste mura. Infatti non tutti sanno che…

Il “Palazzo”, oltre agli uffici di stretta competenza comunale, ospitava nell’ala a Sud la sede dei Reali Carabinieri, mentre all’interno dell’edificio c’erano la Pretura e il carcere. Questi ultimi erano presidi “mandamentali”, cioè a servizio di San Giorgio come dei vicini Comuni di San Pietro in Casale, Galliera, Argile ed Argelato, che insieme ne sostenevano le spese di gestione. Non abbiamo la certezza della loro ubicazione, perché tante piccole ristrutturazioni interne hanno modificato la disposizione dei locali, che avveniva in base alle esigenze specifiche e contingenti. Tuttavia, in base alle descrizioni trovate in archivio e alle visite ispettive registrate, possiamo verosimilmente indicare che la Pretura si trovava nella zona dell’attuale Sala consiliare, mentre il carcere occupava la zona retrostante, comprendendo sia il piano terreno, dove c’era anche un cortile chiuso per i carcerati, sia il primo piano, dove vi era l’ingresso ufficiale.

Di questi servizi abbiamo varie descrizioni e alcuni aneddoti, tra i quali vale la pena di ricordarne uno riguardante la Pretura, dove dibattevano le cause gli avvocati provenienti con il treno da Bologna. Il nostro Sindaco sollecitò la direzione compartimentale delle ferrovie, con un’argomentazione che negli anni ritornò spesso e purtroppo è ancora attuale, che riguarda la necessità di avere collegamenti più frequenti con il capoluogo. Per gli avvocati era un’esigenza indispensabile, perché dopo essere intervenuti in mattinata nelle cause sangiorgesi erano costretti a sostare per molte ore, in attesa della corsa per rientrare a Bologna.

Nel 1871, i Comuni del mandamento si accordarono per ampliare il carcere, rendendolo più idoneo sia alle esigenze che alle normative e aggiungendovi l’abitazione del custode. Inferriate, cancelli in ferro, usci pesanti e ferrati e un robusto portone di rovere, raccordato da serramenti e da grossi catenacci, rendevano gli ambienti a prova di evasione.

Dagli inventari relativi alle carceri, siamo in grado di conoscere chi effettuava i vari servizi: chi era il custode, chi era addetto alla preparazione della “minestra” e del pane, chi forniva i medicinali, chi era il barbiere, chi faceva il bucato e rappezzava gli indumenti, chi provvedeva all’illuminazione e alla legna per il riscaldamento per i detenuti, i quali dovevano arrivare al numero di 6, poiché 6 (da inventario) erano i paglioni su cui dormire. I carcerati erano soprattutto uomini, ma anche qualche donna è stata ospitata; i reati per cui si era reclusi erano sopratttto furti, ferimenti in risse, contravvenzioni, violenze alla forza pubblica e incendi dolosi.

Modifiche consistenti e nuova Sala consiliare

Nel 1923 la Pretura di San Giorgio venne soppressa e la prigione fu chiusa. Gli spazi precedentemente occupati delle carceri mandamentali furono ristrutturati e adibiti a uso abitativo, mentre parte dei locali furono utilizzati dalla Cassa di Risparmio in San Giorgio di Piano, che già dal 1885 aveva sede presso il Municipio. Nella denominazione, si cita San Giorgio perché la sua nascita avvenne proprio in autonomia, e tale rimase sino al 1928, quando per gli effetti di una legge sull’ordinamento delle Casse di Risparmio si verificò la fusione con quella di Bologna. La Cassa di Risparmio rimase in questi locali sino agli anni Cinquanta del Novecento, quando si trasferì nella sede attuale, portando con sé il portone in ferro originario. Nella realizzazione della nuova sede, il Comune modificò la linearità dei portici con costruzione di quell’ala da cui inizia l’attuale via Andrea Costa.

Una modifica interna di rilievo nell’edificio comunale si ebbe nel 1889, con la costruzione di una nuova Sala consiliarecapace di contenere le sedute pubbliche del Consiglio comunale senza disturbare l’ordinamento degli uffici e senza incontrare una grande spesa”. Non si tratta degli spazi dell’attuale Sala, ma di quella precedente, situata al primo piano e utilizzata sino ai primi anni Ottanta del Novecento. La realizzazione della sala costituiva un’importante modifica degli ambienti, perché realizzava un tassello della vita democratica in doverosa progressione. Avere la possibilità di assistere alle sedute consiliari costituiva per i cittadini la possibilità di conoscere ed essere consapevoli delle discussioni e delle decisioni assunte dai propri amministratori, in un periodo storico in cui la rappresentanza individuata attraverso le elezioni amministrative e la possibilità d’essere eletti era nelle mani di poche persone. Un dato numerico può costituire un riferimento per capire l’importanza dell’evento: nel 1860 a San Giorgio, su circa 3500 abitanti, coloro che avevano diritto al voto amministrativo erano solo 156, mentre al voto politico erano ammesse solo 60 persone, per criteri di censo addirittura più restrittivi.

Con l’Unità d’Italia, il diritto di voto era riservato ai cittadini maschi che avessero compiuto i 25 anni e che fossero di elevata estrazione sociale: dovevano cioè pagare un determinato quantitativo di tasse. Infatti, dal nostro archivio, abbiamo appreso che l’elenco degli elettori avveniva partendo da quello dei contribuenti, analizzati uno a uno secondo la categoria a cui appartenevano e le tasse che pagavano. Nel 1881 il Parlamento estese il diritto di voto, ricomprendendo così anche la media borghesia, per poi giungere al suffragio universale solo nel secolo successivo, prima solo maschile e, solo dopo la Seconda guerra mondiale, effettivamente universale, con la estensione del diritto di voto anche alle donne.

Va ricordato che anche a San Giorgio, a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, iniziavano a costituirsi i primi movimenti di operai, artigiani e contadini, che si ritrovavano nelle osterie, luoghi tradizionali per trascorrere il tempo fuori dal lavoro, per riposarsi e riunirsi tra amici. Proteggendosi nell’anonimato che gli esercizi pubblici potevano offrire, facevano crescere le loro organizzazioni sindacali e politiche.

Telefono, poste, uffici e spazi pubblici

Nei primi anni del Novecento, i nostri amministratori presero contatto con la “Società generale italiana di telefoni ed applicazioni elettriche”, per poter avere una linea telefonica intercomunale Bologna–San Giorgio. Quell’amministrazione centrale di Roma, preannunciando delle modiche ai propri regolamenti, suggeriva di realizzare un posto pubblico urbano, che si concretizzò qualche anno dopo, nel febbraio 1912. Vennero ristrutturati e adattati alle esigenze dell’ufficio telefonico, compresa l’istallazione di una cabina, i locali a pian terreno del municipio, collocati sulla sinistra entrando dal portone principale e col tempo si ampliarono i collegamenti telefonici con altri Comuni. Alcuni sangiorgesi “doc” possono ricordare quei locali, col nome di chi gestì successivamente le nostre reti telefoniche: Timo, ovvero Telefoni Italia medio orientale.

Nei primi anni del Novecento, il piano terra dell’edificio comunale ospitò anche il primo ufficio postale. In quegli anni, i postini consegnavano la posta per ben due volte al giorno; non erano dipendenti comunali ma ricevevano un’integrazione al loro stipendio da parte dell’amministrazione, perché il loro salario era molto esiguo. In anni relativamente recenti, quello stesso ex ufficio postale ospitò la prima biblioteca del Consorzio di pubblica lettura. L’ampia scala portava al piano superiore, che ospitava altri uffici. Inizialmente, l’anagrafe, la ragioneria, l’ufficio tecnico, la segreteria, l’ufficio del Sindaco e la Sala comunale erano al piano nobile (il primo), mentre il secondo piano era utilizzato per abitazioni, legnaie e magazzini.

A pian terreno dell’edificio c’era anche l’ufficio del dazio, da molti sangiorgesi conosciuto come “l’ufezi dal ninein”, dove si andava a dichiarare l’uccisione del maiale e a pagare la relativa tassa.

Nel cortile interno dell’edificio, erano allocati i porcili pubblici di proprietà comunale, che l’Amministrazione cedeva con regolare contratto d’affitto annuale a coloro che ne facevano richiesta. Il nostro Comune, però, era soggetto a ondate epidemiche di enteriti e malattie coleriche anche molto gravi, per combattere le quali l’ufficiale sanitario e medico condotto consigliò di portare all’esterno del paese stalle e porcili. A ciò si provvide nei primi anni del Novecento, con la costruzione dell’edificio tuttora presente in angolo tra via Pascoli e via 2 Giugno, ora utilizzato come alloggio di edilizia popolare.

Nel cortile interno del Muncipio spicca il monumento al maiale, opera in bronzo dello scultore Bruno Bandoli inaugurata nel 1985. Ricordando l’esistenza in quel luogo dei porcili pubblici, la statua voleva accostare le tradizioni del passato al futuro. Il maiale, infatti, strizza l’occhio in direzione della porta del CED (Centro elaborazione dati), utilizzato per qualche tempo sia dal Comune che dall’azienda sanitaria.

La Corte dei soldati

Attiguo al precedente, c’è un secondo e ampio spazio cortilivo, da sempre conosciuto dai sangiorgesi come “Corte dei soldati”. Durante i secoli passati, molti cortili interni sono stati realizzati negli edifici che si affacciavano sulla strada principale: questi palazzi avevano il loro lato minore lungo la strada principale e quello maggiore lungo quanto l’isolato, mentre in mezzo si aprivano le corti interne per la necessità di dar luce e aria ai vari ambienti. Questa particolare modalità di costruzione era legata a un’imposta che si pagava per la manutenzione della strada principale, in proporzione proprio all’affaccio sulla via stessa.
Questa corte, così come la residenza comunale, ha subito negli anni diverse modifiche e nei documenti d’archivio c’è traccia dell’esistenza di ghiacciaie (manufatti in muratura a volte ricoperti di terra e vegetazione). È facile immaginare come i possidenti del palazzo padronale avessero necessità di un luogo dove immagazzinare il ghiaccio, utile per la conservazione dei cibi.

Ci è stato tramandato che questa corte ospitava i soldati che venivano a San Giorgio per le esercitazioni, che si tenevano nella campagna circostante, soprattutto nella zona dell’ex macello (l’attuale via E. Pirotti), ma che mantenevano in questo luogo la sede del comando e dei servizi a supporto della truppa. Un nonno, anni fa, raccontava come per lui e per altri bambini delle scuole l’arrivo di questi soldati fosse l’occasione di fare “fughino” dalla scuola per curiosare… e poteva capitare anche di vedere alcune persone, tra le più povere del paese, aspettare la fine della consumazione del rancio dei soldati per recuperare il cibo avanzato. In anni più recenti la corte è stata un luogo di incontro, ospitando circhi e proiezioni cinematografiche.

Oggi la sede comunale si presenta in un modo diverso che non vale la pena descrivere in quanto noto a tutti. Va ricordato, però, che la sistemazione attuale dell’edificio deriva da una profonda ristrutturazione avvenuta negli anni Ottanta sotto la guida dell’architetto Romano Reggiani, voluta dell’Amministrazione comunale guidata dal Sindaco Angelo Rondina. I nuovi servizi, le riorganizzazioni e le varie necessità degli uffici hanno comportato la modificare nella disposizione interna di alcuni locali, ma questa è un’altra storia.