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Cimice asiatica
La cimice asiatica (Halyomorpha hayls), originaria della Cina, è stata segnalata per la prima volta in Italia nel 2012, nella pianura modenese. Oggi è ormai diffusa in gran parte della regione e del territorio nazionale. Non è pericolosa per l’uomo, ma è molto dannosa per le coltivazioni, infatti, è in grado di arrecare gravi danni alle produzioni agricole nel periodo primaverile-estivo e dalla fine dell’estate. Per tutto l’autunno, può creare disagi alla popolazione per la sua abitudine di aggregarsi per passare l’inverno all’interno degli edifici, come abitazioni, magazzini e garage. La Halyomorpha hayls è di colore grigio-marrone, con tacche chiare su antenne, zampe e addome. Può essere confusa con la cimice nostrana (Raphigaster nebulosa): le due specie sono simili nell’aspetto, ma possono essere distinte da alcuni particolari, come indicato nell’immagine.
Ecco alcune strategie di controllo, preventive e di contenimento, suggerite dal Servizio fitosanitario dell’Emilia-Romagna.
Per impedire l’ingresso delle cimici nelle abitazioni:
- collocare zanzariere alle finestre, attorno ai comignoli dei camini non in uso, sulle prese d’aria;
- sigillare crepe, fessure e tutti quegli accessi che consentono il passaggio delle cimici (tubazioni, canalizzazioni, feritoie, ecc.).
Per eliminarle:
- utilizzare strumenti di pulizia per la casa a vapore per stanare gruppi di cimici annidate in cassonetti, infissi, tubature, ecc.
- utilizzare l’aspirapolvere per raccogliere le cimici che si trovano in posti più facilmente raggiungibili (soffitti, verande) o dopo averle stanate col vapore. È possibile usare anche bottigliette di ghiaccio spray, per fare cadere le cimici a terra.
Le cimici raccolte non vanno liberate all’esterno, per evitare che si annidino altrove e che la primavera successiva ritornino in campagna a danneggiare le coltivazioni.
Si consiglia invece di eliminarle immediatamente, e la soluzione più semplice è quella di immergere il contenitore utilizzato per raccoglierle in una bacinella d’acqua saponata per qualche minuto.
Buttarle nel water non serve, perché se l’acqua non è saponata sono in grado di galleggiare.
Gli insetticidi ad uso domestico sono sconsigliati nelle abitazioni, mentre possono essere utilizzati per il trattamento esterno degli infissi, nei cassonetti dei serramenti o di altri punti critici (solo nel caso che si lasci l’abitazione per alcuni giorni) e di ambienti non abitativi, in cui non vi siano prodotti alimentari.
Vespe samurai per contrastare la cimice asiatica
Per contrastare la cimice asiatica, recentemente sono state arruolate le vespe samurai (Trissolcus japonicus), loro avversarie naturali. E il fronte su cui questi due eserciti alati ora combattono si estende su 712 località in sei regioni italiane — Piemonte, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Emilia Romagna — che più di altre hanno dovuto fare i conti in questi anni con l’azione distruttiva della Halymorpha halys, che secondo Coldiretti è stata capace di provocare danni per 740 milioni, colpendo in particolare pere, mele, pesche e nettarine, kiwi, ciliegi e piccoli frutti, albicocche, susine, nocciole, olive, soia, mais e ortaggi.
La vespa samurai è l’alleato che gli agricoltori hanno deciso di mettere in campo, dopo la firma del decreto di autorizzazione da parte del Ministero dell’Ambiente, pur essendo anch’essa una specie aliena, non naturalmente presente nel territorio italiano. La vespa samurai non è aggressiva nei confronti dell’uomo e neppure di altre specie di impollinatori. Di qui la decisione di un contrasto alla specie infestante che lascia fare tutto alla natura, attraverso la lotta biologica.
Calabrone asiatico
Il calabrone asiatico (Vespa velutina) è una specie esotica recentemente introdotta nel continente europeo. Dopo il suo primo ritrovamento in Francia, nel 2004, si è propagata velocemente in molti Stati comunitari e ha raggiunto l’Italia nel 2012, rimanendo per alcuni anni confinata nelle regioni più occidentali (Liguria, Piemonte). Nel 2016 si è diffusa in Veneto, aprendo un nuovo pericoloso fronte di colonizzazione nel Nord Italia.
Questo calabrone è un vorace predatore delle nostre api mellifere, arrivando a comprometterne i raccolti di miele e la capacità di sopravvivenza invernale delle colonie. Preda anche gli altri impollinatori selvatici e può risultare in molti casi un pericolo per l’essere umano e per le produzioni agricole, in particolare frutteti e vigneti.
Come si riconosce
La vespa velutina è più piccola del calabrone comune (Vespa cabro) e si distingue per il colore scuro di capo, antenne e torace. La prima parte dell’addome è più scura e la parte terminale di colore giallo-arancio; le zampe sono scure, tranne la parte terminale di colore giallo.
Cosa non fare
- Mai di avvicinarsi per osservare o distruggere i nidi. I calabroni se infastiditi possono diventare aggressivi e procurare lesioni anche mortali con la loro puntura.
- Limitarsi sempre alla sola segnalazione di adulti e nidi sospetti.
Cosa fare
- Gli apicoltori possono verificare periodicamente il contenuto delle bottiglie trappola e
segnalare qualsiasi insetto sospetto. - Verificare l’eventuale presenza di operaie di in volo stazionario di fronte agli alveari.
- Ogni cittadino può segnalare nidi primari o secondari sospetti, mandando una foto. È importante che le segnalazioni siano tempestive, in modo da ostacolare la diffusione del calabrone.
Contatti e numeri utili
Per informazioni e segnalazioni:
stopvelutina.it
115 in caso di pericolo per la cittadinanza
Per l’identificazione:
è possibile inviare foto al numero Whatsapp 345 642 3030
o portare direttamente gli insetti ai Servizi Veterinari delle AUSL.
Processionaria del pino
La processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa) è un insetto diffuso dove sono presenti conifere (pini e cedri) sulle quali compie il suo ciclo. L’adulto è una farfalla e le uova vengono disposte intorno agli aghi delle conifere, ed ogni ovatura può comprendere fino a 300 uova. La larva è di colore grigio nella regione dorsale e giallastra ai lati ed al ventre, provvista di tubercoli che portano ciuffi di peli color ruggine. A maturità le larve raggiungono la lunghezza di mm. 40.
Danni alle piante
Il danno ai pini e ai cedri è determinato dalle larve, che nutrendosi degli aghi provocano disseccamenti della chioma e defogliazioni, anche molto consistenti. In seguito a ripetuti attacchi di processionaria, le piante si indeboliscono e possono diventare preda di ulteriori attacchi di parassiti. Le infestazioni interessano soprattutto le piante situate in zone soleggiate e si caratterizzano spesso con fluttuazioni graduali delle popolazioni, il cui culmine si manifesta ogni 5-7 anni, a seconda delle condizioni ambientali.
Danni alle persone
Gli effetti sull’uomo dei peli urticanti presenti sulle larve di processionaria rivestono un notevole interesse medico-sanitario, sia per le reazioni epidermiche più o meno persistenti provocate sulla generalità delle persone, sia per le conseguenze che a volte si registrano a carico di soggetti particolarmente sensibili o sensibilizzati a causa di reiterati contatti. Reazioni allergiche sono state segnalate da persone venute a contatto con i peli urticanti a seguito della presenza di piante infestate in giardini pubblici o privati. Tra gli effetti determinati dalla dispersione dei peli nell’ambiente, vanno anche ricordati quelli a carico delle mucose e degli organi di senso, occhi in primo luogo. I peli urticanti, infatti, hanno un’elevata capacità di penetrazione negli occhi e, dopo un’iniziale ancoraggio superficiale, possono migrare in profondità e permanere anche a distanza di anni. A livello delle vie respiratorie superiori, le reazioni infiammatorie sono particolarmente gravi in occasione di inalazioni quantitativamente importanti, che non di rado si osserva tra il personale addetto alla manutenzione del verde.
Come e quando si combatte
La lotta alla processionaria del pino si basa su diverse tipologie di interventi che, se applicate su base territoriale, consentono di contenere le infestazioni e, quindi, di limitare l’azione dannosa del lotofago. I momenti in cui occorre intervenire vengono di seguito riportati:
- In pieno inverno è indispensabile l’eliminazione meccanica dei nidi. Nel periodo tra novembre e febbraio i nidi larvali vanno tagliati e bruciati, un’operazione da eseguita con la massima cautela, adottando tutte le protezioni individuali indispensabili per evitare il contatto con i peli urticanti delle larve. La lotta meccanica è di per sé efficace, in quanto elimina dall’ambiente sia le larve che il pericoloso carico dei peli urticanti.
- Alla fine dell’estate (indicativamente tra la seconda metà di settembre e l’inizio di ottobre) è possibile effettuare 1-2 trattamenti alla chioma, con un insetticida biologico a base di bacillus thuringiensis var kurstaki. Dosi di 100-150 grammi di prodotto diluiti in 100 litri di acqua forniscono ottimi risultati nei confronti delle larve di prima e seconda età. Dosi superiori (fino a 300-350 g/hl) si rendono necessarie in caso di larve più grosse. I trattamenti vanno eseguiti nelle ore serali e in assenza di vento, avendo cura di bagnare la chioma in maniera uniforme. Il prodotto ha un’azione limitata nel tempo ed è facilmente dilavabile, pertanto, in caso di piogge dilavanti o di grosse infestazioni è bene ripetere l’irrorazione dopo alcuni giorni. I preparati a base di bacillus thuringiensis sono del tutto innocui per l’uomo, gli animali domestici e gli insetti utili in genere, quindi sono particolarmente idonei all’impiego in ambiente urbano.
- Mezzi complementari di lotta sono inoltre costituiti dalle trappole a feromoni sessuali per la cattura massale dei maschi adulti. Le trappole vanno installate nella prima metà di giugno, fissandole su un ramo in posizione medio-alta e sul lato Sud-Ovest delle piante. In parchi e giardini si consigliano 6-8 trappole ogni ettaro, distanti tra loro 40-50 metri. Nei rimboschimenti vanno collocate ogni 100 metri, lungo il perimetro e le strade di accesso. È opportuno posizionare le trappole nei punti più soleggiati e dove l’infestazione è di solito maggiore.
Gli interventi messi in atto contro la processionaria non possono evitare il ripresentarsi in futuro di nuove infestazioni, e devono perseguire l’obiettivo di contenere per quanto possibile la diffusione del parassita e, di conseguenza, l’azione dannosa.
Piralide del bosso
La piralide del bosso (Cydalima perspectalis), insetto parassita originario dell’Asia e rinvenuto per la prima volta in Italia nel 2011, è in grado di defogliare in poco tempo intere piante. Se non controllata, può mettere a rischio la sopravvivenza stessa del bosso, pianta ornamentale molto diffusa in parchi, giardini e aree cimiteriali. La colonizzazione avviene attraverso dispersione naturale, ma soprattutto tramite lo spostamento di uova e larve presenti su piante di bosso infestate.
Per contenerla è fondamentale la prevenzione. All’inizio della primavera, è utile installare trappole a feromoni per individuare i focolai di infestazione. Alla comparsa delle larve, si può intervenire con preparati a base di bacillus thuringiensis var kurstaki, con una bagnatura completa della pianta. Sono sconsigliati trattamenti con altri insetticidi, per evitare l’inquinamento delle falde acquifere e fenomeni di resistenza dell’insetto.
Aleurodide nero
L’aleurodide nero (Aleurocanthus spiniferus), insetto di origine tropicale, attacca le foglie, soprattutto di agazzino, rosa, edera, vite e le piante di agrumi, causando disseccamenti diffusi. Tra i metodi consigliati per il contenimento, la prevenzione assume un’importanza fondamentale. Si consiglia la potatura delle parti infestate, bruciando direttamente in loco il materiale di risulta, allo scopo di prevenire la diffusione dell’aleurodide sulle piante indenni dall’attacco.
Sono sconsigliati i trattamenti insetticidi in assenza di forti infestazioni, poiché questi insetti sono in grado di sfuggire ai trattamenti, colonizzando la parte inferiore delle foglie.
Tartarughe Trachemys
Acquistate per popolari acquari e terrari, queste tartarughe sono state inserite nell’elenco delle 100 specie esotiche invasive più dannose al mondo.
La sottospecie Scripta elegans è conosciuta anche come “tartaruga dalle orecchie rosse“, per via di due macchie ai lati della testa, ed è originaria della fascia sud-orientale delgli Stati Uniti. La Scripta scripta, nota come “tartaruga dalle orecchie gialle“, invece, vive in un’area più vasta, che arriva fino al Canada. Se ben accudite, possono vivere più di 30 anni.
Una volta diventate adulte e troppo grandi per gli spazi domestici, spesso chi le acquista decide di abbandonarle nei laghetti pubblici, pratica proibita e molto dannosa per la fauna locale. In Italia il numero di tartarughe autoctone (Emys) da tempo è stato superato da quelle alloctone, più grandi e aggressive, che hanno iniziato a riprodursi, crescendo numericamente a dismisura.
Secondo quanto stabilito dall’Unione Europea, i proprietari avevano l’obbligo di denunciare il possesso di animali potenzialmente invasivi entro il 14 agosto 2018. Le strutture esistenti sono al collasso e diventa difficile immaginare una soluzione ideale al problema.
L’importazione della tartaruga dalle guance rosse – oggi la più diffusa in Italia – è stata vietata, e le rivendite si sono orientate sulla tartaruga dalle guance gialle, meno invasiva ma anch’essa dannosa per la biodiversità locale.
Piccione di città
Le colonie di piccioni possono causare problemi di carattere igienico-sanitario e danni a edifici e strutture. Per saperne di più sui danni legati a questi uccelli e sui metodi per controllarne la presenza, leggi questa scheda.