Prima di calarci nella San Giorgio risorgimentale, è bene ricordare brevemente il contesto storico di quegli anni e del lungo percorso di riscoperta ed evoluzione del sentimento di unità nazionale, che vide scoppiare a più riprese in molte città italiane moti indipendentisti e fervori democratici.

Nel biennio 1848-49 le città italiane si incendiarono insieme a quelle europee, e in molti casi i patrioti italiani riuscirono a formare governi provvisori, come avvenne a Venezia e Roma, dove si arrivò sino all’instaurazione di esperienze repubblicane.
Se Milano ebbe le sue famose cinque giornate, non meno eroica si dimostrò la popolazione di Bologna, che l’otto agosto 1848, nella famosa battaglia della Montagnola, cacciò dalla città l’esercito austriaco.
La libertà conquistata sul campo ebbe tuttavia una breve durata, gli austriaci rioccuparono la città e restaurarono il dominio pontificio. Bologna ritornò dunque a essere il capoluogo della Legazione pontificia delle Romagne, cioè una di quelle suddivisioni amministrative in cui era organizzato lo Stato della Chiesa, e rimarrà sotto tale dominio sino al 1859.

Dallo Stato pontificio al governo provvisorio di Bologna

La notte tra l’11 e il 12 giugno 1859, gli austriaci lasciarono Bologna, seguiti, il mattino successivo, dal Cardinal Legato della città, Giuseppe Milesi Pironi Ferretti, invitato ad abbandonare la città dai capi della giunta provvisoria di Governo. Il cardinale venne scortato da alcuni cittadini, che si erano assunti il compito d’impedire atti ostili nei suoi confronti e che lo accompagnarono verso Ferrara, da dove partì verso il Veneto.
A Bologna, come negli altri capoluoghi delle legazioni, non vi furono tumulti o incidenti degni di nota.
I vari governi provvisori, costituiti a Bologna e in Romagna, dichiararono decaduto il potere temporale del Pontefice, issarono la bandiera tricolore, invocarono la dittatura di Vittorio Emanuele II° e deliberarono i provvedimenti necessari al mantenimento dell’ordine.

Questi governi costituirono la Giunta provvisoria del Governo delle Romagne, la cui guida fu assunta, successivamente, dal marchese Massimo D’Azeglio, dal colonnello Feliconi e dal colonnello Leonetto Cipriani, finché all’inizio del settembre 1859 si riunì l’assemblea delle Romagne, appena eletta il 28 agosto.
Nel nostro collegio elettorale viene eletto il signor Francesco Ramponi fu Pietro, personalità importante per il nostro Comune.
L’assemblea si pronunciò in modo solenne sulla fine del Governo pontificio e a favore dell’annessione dei territori delle ex legazioni al Regno di Sardegna. Pochi mesi dopo, l’assemblea si riunì nuovamente e chiamò Luigi Carlo Farini a succedere al colonnello Cipriani. Il nuovo governatore gestì l’annessione al Piemonte e l’unificazione amministrativa che si realizzò con la creazione dell’Emilia, nome mutuato dal console romano costruttore della grande strada che l’attraversa.

I governi che si succedettero in questa fase cercarono di evitare una rottura troppo brusca con il passato, anche mantenendo per qualche tempo le prassi dell’Amministrazione pontificia, affinché cittadini non si trovassero in difficoltà per un repentino cambio di regime. Il 13 giugno 1859, infatti, la Giunta provvisoria aveva emanato un decreto nel quale confermava i magistrati (termine allora utilizzato per definire gli amministratori) e gli impiegati governativi nei rispettivi ruoli – a eccezione di coloro che si erano resi indegni per specificati motivi – conservando il trattamento, e in certi casi migliorandolo.

San Giorgio nel periodo di transizione

Nel 1859 il nostro paese si chiamava Castel San Giorgio e contava circa 3500 abitanti. I comunisti – così venivano chiamati gli abitanti del Comune – risiedevano sia all’interno del Castello (il piccolo centro abitato racchiuso all’interno dei terragli, ovvero il fossato coperto cent’anni prima), che nelle case sparse e nelle tre parrocchie di Cinquanta, Gherghenzano e Stiatico.
Il Municipio, allora chiamato la Casa comunale o, più semplicemente, “la Comune” era retto da una Magistratura, a capo della quale era posto il Priore, coadiuvato dagli Anziani e dal Consiglio della Comunità di Castel San Giorgio. Volendo fare un paragone con l’attualità, il nostro Sindaco corrisponderebbe al Priore, gli assessori sarebbero gli Anziani e con i Consiglieri formeremmo il Consiglio della Comunità.

Tra il 1858 e il ‘59, però, i Priori via via nominati non avevano accettato la carica, e uno degli Anziani, Vincenzo Baccilieri, ne faceva le funzioni. Nei bollettini politici settimanali, abbiamo la descrizione di come si svolgeva la quotidianità in quel lontano 1859.

Dalla lettura dei bollettini sembra che tutto procedesse perfettamente, dobbiamo però ricordare che questa è l’immagine che gli amministratori locali inviavano ai loro superiori, e se tutto andava tutto bene significava che bravi erano gli amministratori.

I sospetti e i facinorosi erano pochi, raramente davano motivo di “rimarco” o si rendevano molesti, e, fino a maggio di quell’anno, venivano comunque sorvegliati dalla locale Brigata Gendarmi, poi soppressa per ordine superiore. Le granaglie (frumento, mais e farina bianca e gialla) mantenevano un prezzo pressoché costane e la loro qualità era ottima.
La pubblica amministrazione proseguiva con soddisfazione dei comunisti e senza particolari controversie. La cosa pubblica veniva amministrata con la consueta imparzialità e giustizia e le finanze erano in buono stato, gli impiegati facevano il loro dovere e tenevano una buona condotta. L’istruzione pubblica aveva un andamento soddisfacente e i maestri si comportavano bene, mentre nella vita sociale non si segnalavano episodi contro il buon costume e la decenza.

Il mercato del lunedì si svolgeva senza alcun disordine, e ogni settimana lo si sottolineava.
Si celebravano solennemente i riti delle Orazioni, la visita pastorale e la festa della Beata Vergine nel Borgo di sopra. Un’illuminazione pensile e concerti musicali allietavano il paese in queste ricorrenze.
Nel teatro comunale, a eccezione del periodo quaresimale, si svolgevano recite anche a opera della nostra compagnia di dilettanti filodrammatici, mentre più raramente si svolgevano feste da ballo. Alla fine di maggio di quell’anno, la magistratura decise di chiudere il teatro “sino a migliore opportunità”, poiché qualche facinoroso ubriaco aveva turbato la pubblica quiete.

Lo stato di salute della popolazione era generalmente buono, ma nel mese di aprile si registrarono, soprattutto nella classe più povera, molti casi di scorbuto. Nessuno forestiero sostava nel paese: quelli che passavano, si fermavano brevemente e non davano motivo di rimarco.  Si registrava, però, con una certa frequenza qualche furto semplice o qualificato di oggetti vari, di tela o di polli e di vitelli lattanti, e altro ancora.

Infine, per ciò che riguarda lo spirito pubblico, le cronache del tempo ci raccontano che la popolazione mostrava buon contegno ed era obbediente al sovrano e alle sue leggi. Il prezzo accessibili dei viveri di prima necessità (il sistema di commercio era di tipo privatistico, con un forte controllo dell’amministrazione) e la domanda di lavoro, in seguito alla bella stagione, mantenevano tranquilla la classe povera.

Come venne vissuto il cambiamento in corso?

Nonostante l’apparente calma riportata nei bollettini, verso la fine di maggio possiamo tuttavia trovare traccia di qualche fermento. Infatti, si può leggere che alcuni eventi riguardanti le grandi potenze e la neutralità dello Stato pontificio “si sono fatte di pubblica ragione per la quiete di questi amministrati”. Grazie alla pubblicazione di queste due circolari, in quella stessa settimana, si riporta che “si sono calmati gli animi di questi parrocchiani”.

Leggiamo nelle cronache che già la mattina del 13 giugno – un lunedì, giorno di mercato – in seguito a quanto accaduto il giorno precedente a Bologna (l’allontanamento del Legato e la costituzione di una giunta provvisoria), “quasi tutti questi comunisti portano la coccarda a tre colori, senza però aver fatto alcuna acclamazione, ne punto turbare la tranquillità pubblica che viene tutt’ora confermata”.
Nella settimana successiva, la popolazione proseguiva a tenere un buon contegno, sotto ogni punto di vista, e la magistratura locale, cedendo al voto unanime del popolo, il giorno 15 dava la sua adesione all’atto della giunta provvisoria di governo di Bologna. Inoltre, veniva istituita una guardia civica provvisoria, incaricata della sorveglianza e dell’ordine pubblico, composta da persone probe con a capo Luigi Pelagatti.
La sera del 15 giugno, per rendere più solenne l’innalzamento della bandiera tricolore, fu illuminato tutto il castello e si tenne un concerto musicale. I festeggiamenti terminarono verso la mezzanotte, senza disordini.

I rapporti con la Giunta provvisoria di Bologna

In quei mesi si intensificarono le comunicazioni con le quali la Giunta provvisoria di governo avvisava di quanto stava accadendo: la città senza rappresentanza governativa, la nomina di una giunta provvisoria per provvedere alle necessità più urgenti, l’invocazione della dittatura di Vittorio Emanuele II, la nomina della intendenza provinciale di Bologna, la proibizione di giornali e scritti politici, le disposizioni relative ai giudici e ai tribunali, con la conferma di magistrati e impiegati governativi; e ancora, lo scioglimento del corpo dei Gendarmi, l’istituzione di una Guardia civica provvisoria, con la selezione dei gendarmi già in carica e, infine, l’istituzione della Guardia nazionale.

Anche a Castel San Giorgio si provvedeva a predisporre, l’acquartieramento del locale stanziamento della Guardia civica, nei locali a piano terreno della Casa comunale, arredati e a dotati di 80 fucili. Possiamo ricordare che lo spazio denominato “Corte dei soldati” era vicino al loro stanziamento.
L’ordine pubblico veniva curato anche dalla Brigata Carabinieri, che mercoledì 7 settembre 1859 iniziava la sua presenza nel Castello. Molte delle comunicazioni che giungono a Castel San Giorgio riguardano la seconda guerra d’indipendenza. Tra queste, da segnalare, quella concernente l’arruolamento dei volontari, con l’invito ai cittadini a farsi avanti e la richiesta di sottoscrivere finanziamenti, per far fronte alle spese di guerra.

Contestazioni in Consiglio comunale

Nel nostro Comune, il passaggio dallo Stato pontificio alla Giunta provvisoria di governo sembra avvenuto tranquillamente, ma leggendo più approfonditamente i carteggi si scoprono alcune contestazioni.
Il facente funzione di Priore, Vincenzo Baccilieri, scrive il 1 luglio al signor intendente della Provincia di Bologna, all’indomani del Consiglio comunale per chiedere istruzioni.
Il deputato ecclesiastico il molto reverendo don Francesco Costa prima che si aprisse l’adunanza chiese se questa magistratura aveva data l’adesione all’attuale goveno (il governo provvisorio). Al che fu risposto affermativamente allora dichiarò che non poteva egli assistere all’adunanza di un corpo che aveva aderito ad un governo usurpatore dei diritti temporali del Sovrano Pontefice, consigliando gli intervenuti a fare altrettanto. Ma questi risposero che erano venuti per trattare gli affari dell’amministrazione interna del Comune, affari che non potevano dilazionare per cui decisero che si tenesse pur consiglio. Allora il sig. don Costa (…) decise di rimanere, però alcuni consiglieri (…) si allontanarono e ciò per l’antipatia che in essi si era formata a causa del deplorevole contegno tenuto dal suddetto sacerdote nel giorno del 13 giugno (…) per cui in causa del loro allontanamento non si ebbe il numero degli adunati che si desiderava. Se anche nelle venienti sedute il signor Costa tiene lo stesso contegno, si va a pericolo di vedere deserte e rimanere sospesi gli affari del Comune, per cui mi tengo in dovere di comunicarle l’emergenza”.

Non c’è riscontro di alcuna risposta a riguardo, ma gli eventi storici successivi e l’elezione del nuovo Consiglio comunale provvisorio probabilmente risolsero la questione, anche se don Francesco Costa, parroco di Stiatico, non mancava di sottolineare ai nuovi amministratori i punti che gli stavano a cuore: il fitto a lui dovuto per i locali della scuola, le condizioni precarie del cimitero a altro ancora.

San Giorgio nel Regno d’Italia

La fine del dominio pontificio avvenne il 12 giugno 1859: nella notte gli austriaci avevano lasciato la città di Bologna, e il mattino seguente il Legato pontificio era stato invitato dalla Giunta provvisoria a lasciare la città. Così, scortato da cittadini incaricati della sua incolumità, si diresse verso Padova.

Nell’archivio comunale è presente il resoconto dettagliato di come la popolazione di San Giorgio affrontò questo passaggio. Il 13 giugno 1859 era un lunedì ed era giorno di mercato, e quasi tutti i comunisti (termine con il quale venivano identificati gli abitanti del Comune) portavano la coccarda tricolore. Il 15 giugno la Magistratura locale diede l’adesione alla Giunta provvisoria di Bologna, e nella sera stessa il solenne innalzamento della bandiera tricolore veniva festeggiato con luminarie, concerto e divertimenti che terminarono verso la mezzanotte, senza alcun disordine.

A reggere la comunità, però, rimanevano le stesse autorità precedenti, poiché un decreto del 13 giugno aveva confermato sia le Magistrature che gli impiegati amministrativi.

Diversi passaggi elettorali – ai quali per il vero partecipavano pochi aventi diritto – portarono i sangiorgesi all’annessione alla Monarchia costituzionale di re Vittorio Emanuele II°:

  • il 28 agosto 1859 si votò per l’Assemblea delle Romagne, e nel nostro collegio elettorale fu eletto Francesco Ramponi, personalità importante nel nostro paese di cui divenne il primo Sindaco dell’Unità d’Italia;
  • il 25 settembre 1859 venne eletta la Magistratura provvisoria;
  • il 6 febbraio 1860 i sangiorgesi votarono per il Consiglio comunale, il quale a propria volta elesse il Sindaco Francesco Ramponi;
  • il 12 e 13 marzo 1860 nelle regie provincie dell’Emilia Romagna si votò, con estensione del diritto di voto ai cittadini maschi indipendentemente dal loro censo, il plebiscito. A San Giorgio le elezioni si svolsero presso il teatro comunale e i cittadini, a larga maggioranza, optarono per l’annessione alla Monarchia costituzionale di re Vittorio Emanuele II°;
  • Il 4 agosto 1860 si votò per il Consiglio provinciale, a Castel San Giorgio su 156 elettori aventi diritto i votanti furono 33, con 32 voti a favore dell’avvocato Paolo Silvagni. L’anno successivo, nella rinnovazione di un quinto dei Consiglieri provinciali, venne eletto Giuseppe Pelagatti, sangiorgese, che rimase in carica dal 1861 al 1867. Giuseppe Pelagatti ottenne nel proprio paese 30 voti su 31 votanti.
  • Domenica 27 gennaio 1861, nella sala del teatro comunale si ebbero, infine, le prime elezioni per il parlamento di Torino. Nel nostro Comune, il più votato (voti 54 su 54 ) fu Antonio Zanolini che, eletto nel collegio nel suo complesso, partecipò con tutti i nuovi parlamentari alla prima seduta del Parlamento, il 18 febbraio successivo. Il 17 marzo 1861 in Torino, nella sede del Parlamento italiano di Palazzo Carignano, venne proclamato il Regno d’Italia, con Vittorio Emanuele II° primo Re.
    Fra la primavera del 1859 a quella del 1861 nacque, da un’Italia divisa in sette Stati, il nuovo Regno.

Vittorio Emanuele II in visita a Bologna

Domenica 25 settembre 1859, alle ore 8, dopo gli opportuni inviti a tutti i 129 elettori e dopo aver esposto l’avviso in tutte le parrocchie del Comune, ci furono nella sala del teatro le elezioni per la nomina della Commissione municipale provvisoria, che a sua volta nominò la nuova Magistratura provvisoria.

Il 10 ottobre, in uno dei suoi primi atti, si legge:
(…) Dovendosi quanto prima e per disposizione (…) innalzare all’esterno di questa residenza lo stemma del glorioso nostro sovrano Vittorio Emanuele II° il quale accogliendo benignamente i voti delle popolazioni delle Romagne ne ha assunto il governo (…) un tale fausto avvenimento va festeggiato nel miglior modo possibile con pubbliche manifestazioni e perciò la Magistratura ha destinato che nella sera del giorno in cui sarà innalzato lo stemma si faccia nel castello illuminazione pensile, il concerto musicale comunale e s’innalzino fuochi di gioia. La spesa per l’illuminazione e il concerto sarà sostenuta dal Comune, per i fuochi sarà fatta una colletta.

Pochi mesi dopo il 1°maggio 1860, re Vittorio Emanuele venne in visita a Bologna. Il sindaco della città Luigi Pizzardi – già consigliere sangiorgese nella Commissione municipale provvisoria – invitò tutte le rappresentanze comunali a essere presenti, per riceverlo degnamente, ricordando ai sindaci che il loro distintivo doveva consistere in una fascia tricolore alla cintura e che sarebbe stato opportuno fossero accompagnati da bandire e corpo musicale.

Non vi sono a oggi riscontri diretti negli archivi in merito all’impresa garibaldina del maggio 1860, anche se è possibile trovare qualche traccia indiretta della partecipazione di cittadini sangiorgesi alla spedizione. In quell’anno un padre chiedeva un sussidio, poiché suo figlio era partito per la guerra di Sicilia. Negli anni successivi vi comparirà, invece, un impegno economico ufficiale da parte del Comune, annotato nelle spese di bilancio, per la lotta al brigantaggio nelle regioni meridionali e per una partecipazione alle spese incontrate dal Municipio di Bologna per il battaglione mobile di Guardia nazionale, già inviato nelle provincie meridionali.

Come si sviluppava Castel San Giorgio?

Per alcuni decenni, le dimensioni del Castello rimasero contenute nei pressi della strada maestra (l’attuale via della Libertà) e nel borgo di sopra (zona della porta Bologna o porta di sopra), ma vennero eseguiti lavori di costruzione e ristrutturazione, per dotare San Giorgio di importanti opere pubbliche. Nel bilancio di previsione del 1861, viene stanziato un fondo per l’acquisto di un terreno con lo scopo di prolungare la strada del Bentivoglio, sino alla piazza del campanile.
Nel 1865 si ha una sistemazione del paese con lavori di muramento di alcune fabbriche (case) e la sistemazione di sbocchi di strade, a seguito dello spianamento dei terragli di circonvallazione.
Nello stesso anno, il Consiglio comunale approva il progetto della nuova chiesa, che era stato redatto dall’architetto Elbino Riccardi, con un costo preventivato in lire italiane 63.334,56.
Vengono anche ingranditi i cimiteri: nel ’63 quello del Castello, mediante la costruzione di un porticato di poche arcate a fianco dell’allora cappella mortuaria, e nel 1865 si risistemeranno quello di Stiatico e quello di Gherghenzano.

Il 5 novembre 1868, con rogito Aldrovandi, si procedette all’acquisto del nuovo palazzo comunale (quello attuale, mentre quello precedente si trovava nei locali attualmente occupati dall’azienda sanitaria). Si trattava del palazzo Benassi, già in precedenza affittato al nostro Comune e utilizzato ad uso di uffici pubblici e abitazioni.
Nel 1867 viene abbattuta porta Bologna, la cui immagine rimane catturata solo in poche antiche stampe. Dalla lettura dei bilanci, si apprende che entrambe le porte del nostro paese erano utilizzate come abitazioni, e in totale ospitavano tre nuclei familiari. Per avere un vero e proprio cambiamento del paese, si devono però aspettare i primi anni del Novecento.

Nuove scuole e istruzione pubblica

Un riferimento particolare va fatto per l’istruzione, in quanto sappiamo che già nell’Ottovento i nostri amministratori erano molto sensibili all’educazione dei fanciulli.
La scuola pubblica era presente a San Giorgio già dal 1810, presso locali del municipio, ed era riservata esclusivamente ai maschi. Nel periodo corrispondente all’Unità d’Italia, le scuole erano quattro: due nel Castello, con una classe superiore e una inferiore, una a Stiatico e una a Ghergenzano.
Inizialmente, le aule scolastiche del capoluogo si trovavano all’interno della Casa comunale, mentre nelle frazioni erano ospitate presso locali affittati. Nel 1861, viene prevista in bilancio una spesa straordinaria per la costruzione di nuove scuole nel Capoluogo. Questa nuovo edificio, corrispondente all’attuale sede della caserma dei carabinieri, verrà costruita utilizzando pietre di prima scelta, acquistate presso fornaci locali e con concorso di operai sangiorgesi, sia come muratori che come birocciai, organizzati in squadre per il trasporto dei mattoni, di ghiaia e sabbia del Reno. Nell’anno scolastico 1864-65, tutte le classi del Castello capoluogo si trasferirono nella nuova sede, il costo complessivo ammontò a lire 33.743,93.

L’istruzione veniva impartita solo ai bambini, mentre le bambine ricevevano presso una scuola di carità alcune nozioni, insieme all’insegnamento di lavori considerati tipicamente femminili.
Nei primi anni del Regno, crebbe la sensibilità di un’educazione rivolta anche alle bambine. L’apertura del nuovo edificio scolastico coincide con l’inizio dell’istruzione pubblica femminile, condotta da una giovane sangiorgese che, a spese del Comune, era stata mandata alla scuola per avere la patente d’insegnante. Al termine degli studi, potrà insegnare alla bambine. L’istruzione era considerata un elemento importante dalla nuova Amministrazione, tanto da interessare non solo con le bambine e i bambini, ma anche i giovani e gli adulti, attraverso le lezioni serali, e con le ragazze con le scuole nella domenica pomeriggio. Anche una biblioteca popolare circolante contribuiva alla cultura della popolazione. gli edifici scolastici delle frazioni verranno costruiti successivamente, a partire dal 1878-79.

La ferrovia

I trasporti, sia stradali che ferroviari, iniziarono in quel tempo ad avere un grande impulso. Lo Stato unitario inviò moduli statistici per rilevare la consistenza e la condizione delle strade e i possibili collegamenti per migliorare gli spostamenti. L’opera di maggior rilievo fu però la costruzione della linea ferroviaria, inaugurata nel 1862. La scelta del percorso, che infine cadde sull’attuale tragitto tra Ferrara e Bologna, fu molto problematica, in quanto si confrontavano punti di vista contrapposti.
Secondo alcuni era opportuno passasse per Finale Emilia, Cento e San Giovanni in Persiceto, mentre per altri si doveva passare per Cento e Pieve di Cento. Il Ministro, invece, aveva studiato anche un tragitto più breve, che migliorava la celerità ed era più economico (Poggio Renatico, San Pietro, San Giorgio, Castel Maggiore, Corticella), ma i Comuni esclusi premevano per far passare la linea nei loro territori.
Alla scelta della linea attuale, forse contribuì anche il nostro sindaco Ramponi, che venne incaricato dal sindaco di Bologna per coinvolgere i sindaci interessati da questa linea più breve, per sollecitare tutti insieme il Ministero a realizzare quella che in effetti è diventata la linea Ferrara-Bologna, della quale tuttora possiamo usufruire.

Salute pubblica e mancanza d’igiene

Castel San Giorgio aveva più di un medico: uno di questi, in seguito a uno specifico concorso, veniva assunto dal Comune e diventava il medico condotto, incaricato di prendere “sotto la di lui cura infermi miserabili”, ovvero con l’affidamento della cura gratuita delle persone più povere (in caso di necessità, potevano essere assegnati loro medicinali o manzo per brodo).
Agli inizi del 1860, il Comune assume come medico condotto il dottor Avito Torchi, che tre anni dopo scrive una lunga relazione al sindaco, motivandogli la causa di un’epidemia che aveva colpito il nostro paese con molti morti, specie tra le donne di giovane età.
Ci descrive un paese dalle condizioni igieniche evidentemente precarie: ”(…) Il sudiciume trovasi sulle strade, dove sotto a qualche porticato viene il fango che l’imbeve continuamente, fosse almeno di acqua pura,(…) le esalazioni dei vapori carichi di ogni principio non sano (…) acque impure che stagnano nelle vie, nei cortili dove hanno accesso più inquilini (…) quivi evesi un’atmosfera carica di vapori che s’innalzano sugli ammassi di letame, di escrementi umani che trovasi ovunque disseminati. Quivi respirasi principi esalati dalla purgazione degli animali, specialmente suini perché le stalle dei medesimi sono poste in qualche angusto recinto, o sotto finestre di abitazioni (…) Riscontrasi abitazioni dei miserabili dove vi sono camere al pian terreno senza selciato, né piancito alcuno, altre senza aria, altre senza luce o in pochissima quantità (…) tante volte un solo ambiente serve per uso di tutto e di tutti di famiglia ed ho osservato anche che in alcune si tiene in casa il maiale (…) In questi abituri dimorando è difficilissima cosa confermarsi in salute (…)”.

Un motivo di preoccupazione sanitaria era dettato dall’acqua, in quanto l’approvvigionamento idrico avveniva solo attraverso i pozzi ubicati dentro le case o nelle immediate vicinanze. L’acqua, di per sé buona, poteva diventare nociva a causa di infiltrazioni, quando i pozzi erano in prossimità di letamai, vicino a stalle di cavalli, di bovini o di suini, oppure vicino agli scarichi domestici.

Periodicamente, ondate epidemiche infettavano la popolazione, con episodi acuti che degeneravano nei decessi. Oltre all’epidemia infettiva dei primi anni dell’Unità d’Italia, i Bollettini ci riportano un’epidemia di colera, avvenuta nel 1855, con 153 persone contagiate (di queste 91 erano morte, 44 erano i guarite e 18 erano i pazienti che risultavano ancora in cura secondo i documenti dell’epoca).

La piazza

Luogo degli incontri per eccellenza del paese, la piazza principale ha la dimensione pressoché attuale dal 1842, quando il Priore Sante Sarti incaricò l’ingegner Tommaso Biagi di predisporre un progetto d’ampliamento della piazza, per renderla adatta al mercato settimanale del lunedì, separando il suolo dedicato a questa attività da quello della strada contigua, così da rendere più agevole il passaggio dei carri.

La piazza venne nuovamente sistemata nel 1863, per collegarla alla stazione ferroviaria e alla direttrice per Bentivoglio. Strada ferrata e piazza vennero inaugurate in occasione della festa per lo Statuto Albertino del 1863, con intitolazione della “Piazza dell’Indipendenza”, per far risaltare gli avvenimenti che portarono all’Unità d’Italia. I tentativi successivi di cambiare la denominazione non ebbero mai successo.

Nel 1863 nell’elenco dei lavori straordinari del Comune compare il “rinfranco” e l’apertura degli archi del Torresotto, intervento fatto a spese delle casse comunali in quanto l’area era soggetta a pubblico passaggio. La sistemazione della piazza negli anni precedenti aveva permesso di tenere chiuse le arcate del Torresotto rivolte a Nord e a Est, mentre richiedeva l’apertura dell’arcata verso Ovest, per ottenere una buona visione estetica dell’insieme.

Toponomastica sangiorgese legata al Risorgimento e all’Unità d’Italia

A San Giorgio non mancano gli spazi pubblici intitolati ad avvenimenti e personaggi di quel periodo

  • Il 26 maggio 1865, il Consiglio comunale battezzò la nuova piazza (da cui si accedeva al viale della stazione) piazza dell’Indipendenza, per “ricordare il glorioso fatto dell’acquisita indipendenza d’Italia”.
  • Nel 1895, una petizione popolare presentata al Consiglio comunale da 200 cittadini sangiorgesi proponeva che il viale conducente dalla piazza dell’Indipendenza alla via della stazione si chiamasse viale XX Settembre 1870.
  • Così come nell’autunno del 2010 sono state intitolato due nuove vie di San Giorgio col nome di Risorgimento e Unità d’Italia, per ricordare questo periodo storico, così i nostri predecessori, nell’aprile del 1911, deliberarono una nuova denominazione per le alcune vie del Castello capoluogo.
  • Col piano di ampliamento del paese e la vendita dei terragli per costruirvi abitazioni, si determinarono nuove strade e si rese necessaria la loro denominazione. Contemporaneamente, si ritenne opportuno sostituire alcune delle vecchie denominazioni con altre che ricordavano persone collegate agli ideali patriottici.
  • Si sostituì alla denominazione via Palazzaccio quella di via Francesco Ramponi, deputato all’assemblea delle Romagne nel 1859 e primo sindaco di Castel San Giorgio nell’Unità d’Italia, che conservò cariche amministrative in diversi ruoli negli anni seguenti.
  • Si sostituì via Merlina con via Ivo Pradelli, patriota e soldato d’Italia a Venezia e Roma, scampato alla pena capitale e morto in carcere ad Ancona nel 1855.
  • Ventisei anni dopo, nel 1881, i sangiorgesi gli dedicarono una lapide, che ancora oggi ci ricorda la sua casa natale nell’attuale via Libertà (via Merlina, come via Ivo Pradelli, allora inglobava anche l’attuale via della Pace).
  • Via del Mercato diventò via Giuseppe Gamberini, caduto il 4 giugno 1849 per la difesa della Repubblica romana. L’assedio della città si svolse tra il 3 giugno e il 2 luglio, ad opera delle truppe del generale Oudinot, che tentavano, per la seconda volta, l’assalto alla capitale della Repubblica romana. Nel 1863, il municipio fece realizzare la lapide, attualmente murata sotto le arcate del portico, all’ingresso del palazzo comunale.
  • Si sostituì via Terragli con via Domenico Marzocchi, uno dei 49 bersaglieri caduti nella breccia di Porta Pia. Insieme al suo capitano Cesare Bosi, fu tra i primi a entrare in Roma al seguito del generale Cadorna, attraverso la breccia aperta nelle mura della città. Il 4 giugno 1876, in occasione della Festa dello Statuto, il municipio ne onorò la memoria, attraverso l’affissione della lapide attualmente murata sotto le arcate del portico, all’ingresso del palazzo comunale.
  • Si sostituì via dell’Orto con via Cavour, e si intitolarono due nuove strade a Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi.
  • Nella stessa deliberazione, venne battezzato piazza Trento Trieste lo spazio che fino ad allora era chiamato piazzale superiore, all’ingresso del capoluogo. Queste due città, allora parte dell’Impero austro-ungarico, divennero l’emblema dell’Unità d’Italia.